Teatro

SALISBURGO, IL FLAUTO MAGICO

SALISBURGO, IL FLAUTO MAGICO

Salisburgo, Felsenreitschule, “Die Zauberflöte” di Wolfgang Amadeus Mozart

PAMINA AL LICEO

Nuova produzione del Festival 2012, il Flauto magico (in scena anche per i bambini con il progetto Opera viva nella facoltà di teologia dell'università) utilizza lo spazio irripetibile della Felsenreitschule come scenografia naturale, dove è fondamentale la luce curata da Stefan Bollinger. L'impianto di Mathis Neidhardt riprende le arcate di pietra, replicandole negli interstizi di quattro parallelepipedi con numerose porte su ogni lato, i quali, muovendosi lateralmente, danno luogo agli spazi necessari al plot. I costumi, sempre di Mathis Neidhardt, situano l'azione nel contemporaneo in un liceo, aule e dormitori. Il regista Jens-Daniel Herzog, coadiuvato nella drammaturgia da Ronny Dietrich, non introduce elementi di novità, anzi elimina tutti i possibili riferimenti a un mondo “altro” e alla massoneria, raccontando la storia di due giovani liceali alle prese con le prove della vita. Nell'intervista contenuta nel programma di sala, Herzog dichiara apertamente di voler sfrondare tutte le appropriazioni del passato e di cercare invece di mettere in evidenza i principi senza tempo dell'umana esistenza. Intenzioni non pienamente riuscite nella messa in scena, che risulta priva di riferimenti al libretto e non immediata né interessante nello sviluppo del plot.

Sono le tre dame, all'inizio, a introdurre il serpente nella camera di Tamino mentre egli dorme e a causargli incubi, salvo poi accorrere a salvarlo travestite da crocerossine (le tre saranno risolutive anche in altri momenti apparendo come le Charlie's angels). Papageno arriva con un Ape Piaggio dove tiene gli uccelli cacciati che vende a donne infervorate; invece del lucchetto che serra la bocca per impedirgli di parlare, le dame gli tolgono i denti e, per impedirgli di partire, sgonfiano le ruote dell'Ape e staccano gli sportelli e gli specchietti, tanto che Papageno deve portarlo fuori a spinta. Una scuola, si diceva, forse il “Liceo Sarastro” visto che tutti hanno sui taschini di camici e divise una “S”: Sarastro è il preside, il circolo dei sacerdoti è il collegio dei docenti, i coristi sono insegnanti o, più precisamente, ricercatori in camice bianco; tra gli alunni, Pamina è l'unica femmina; Manostatos (e non Monostatos) forse il bidello di colore. Durante le prove con il fuoco e l'acqua, Tamino e Pamina sono assistiti da persone in scafandri ignifughi e a tenuta stagna. La Regina della notte pare una specie di apparizione alla ricerca di un suo “posto al sole”. Nel finale la Regina e Sarastro lottano per il pettorale che viene preso da Tamino e consegnato a Papageno per trasmetterlo ai bambini nelle quattro carrozzine: la speranza è nel futuro e nelle nuove generazioni.

Quando Nikolaus Harnoncourt cominciò ad affrontare Mozart nei primi anni Ottanta la critica si divise, ma oggi si è maggiormente abituati all'impiego degli strumenti antichi e di una prassi concertante ed esecutiva più filologica. Anche qui l'orchestra Concentus Musicus Wien suona con strumenti storici e il risultato ottenuto è favoloso, anche per merito del direttore che sceglie giusti tempi e cesella i suoni alla perfezione. In particolare si sono apprezzati i recitativi accompagnati dall'orchestra e l'esplorazione di tutte le gradazioni possibili di ritmo e spessore sonoro. Però al vastissimo arco dinamico coperto dall'orchestra non ha corrisposto una parte visiva parimenti incisiva.

Buono il cast. Bernard Richter e Julia Kleiter sono Tamino e Pamina, biondi, belli e bravi. Il tenore ha voce limpida ed estesa e punta sulla dolcezza del suono accompagnata ad un'intepretazione attoriale sui toni sognanti e distaccati, apprezzandosi per la traduzione della luminosità vocale in puro lirismo. Il soprano ha una delle voci più belle in circolazione e raggiunge vette di cristallina purezza coniugata a una naturale morbidezza: il tempo largo che il direttore sceglie per “Ach ich fühls, es ist verschwunden” consente indugi di emozionante vibrazione; da menzionare il fraseggio sfumato in cui l'energia non proviene dalla grandezza del mezzo ma dalla capacità di trovare in sé una ricchezza interiore che si esprime in ogni intervento. Ottimo il Papageno di Markus Werba, dotato di fluidità e spontaneità talmente comunicative da fraseggiare in modo nitidissimo e disinvolto come se parlasse; un Papageno estroverso la cui bella voce ben si piega a cogliere i dettagli di un ruolo frequentato da tempo. Georg Zeppenfeld è Sarastro, tonante e vocalmente autorevole, con un tubo gli esce dal cranio collegato a un lampeggiante sul petto. Mandy Fredrich è la Regina della Notte, che affronta senza difficoltà l'impervia partitura e le celebri colorature non suonano algide o meccaniche. Poco luminose le tre dame, Sandra Trattnigg, Anja Schlosser e Wiebke Lehmkuhl; vocalmente perfetti i tre ragazzi del Tölzer Knaben, preparati da Gerhard Schmidt-Gaden e trasformati visivamente in anziani. Rudolf Schasching è un monumentale Manostatos (nel programma di sala si riferisce sul suo nome e sul carattere del ruolo in due appositi saggi). Elisabeth Schwarz è Papagena, una malata di mente utilizzata per gli esperimenti della scuola, cavia umana telecomandata dai ricercatori e poi, per scherzo, dagli studenti; poetico il momento in cui, collegando il suo copricapo a quello di Papageno, si accendono le lucine. Competano adeguatamente il cast Martin Gantner, Lucian Krasznec e Andreas Hörl. La sezione Konzertvereinigung del Wiener Staatsoperchor è stata ottimamente preparata da Ernst Raffelsberger.

Teatro gremito, moltissimi applausi per tutti e ovazioni per il direttore e l'orchestra.

Visto a Salisburgo, Felsenreitschule, il 4 agosto 2012

FRANCESCO RAPACCIONI